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Una ragazza, un quadernetto, un genio
Quando mi trasferii a Milano per frequentare l’Accademia, non avevo molti soldi. Lavoravo come cameriera per mantenermi, studiavo con passione, ma i libri costavano troppo. Li prendevo in prestito in biblioteca, e quando trovavo qualcosa di straordinario, lo trascrivevo a mano su un quadernetto. Non c’erano ancora foto con lo smartphone, né scanner. Solo carta, penna e desiderio.
Uno di questi libri parlava di Salvador Dalí. Dentro c’erano citazioni potentissime, immagini visionarie, riflessioni sul cinema. Una mi rimase impressa per sempre:
“Inchiodare la macchina da presa al suolo con dei chiodi come Gesù Cristo in croce (†), tanto peggio se esce dal quadro visivo!”
Dalí rifiutava l’idea di una macchina da presa che corre dietro all’azione come un segugio. Per lui il cinema doveva essere fisso, ipnotico, sacro. E raccontava di un film che avrebbe voluto fare, intitolato “La carriola di carne”. Una donna trasporta il cadavere dell’amato in una carriola, finché la carne stessa non si rianima. Una visione macabra e poetica, onirica e carnale.
Un aneddoto curioso: Dalí progettò anche scene per il film “Spellbound” di Hitchcock, portando sul set elementi onirici come occhi giganti e ruote di bicicletta che girano nel vuoto. Il suo sogno era di trasformare ogni inquadratura in un dipinto vivente.
L’incontro con Lars von Trier
Molti anni dopo, vidi Le onde del destino di Lars von Trier. Avevo circa 25 anni. Dopo pochi minuti, mi venne mal di testa. La macchina da presa ondeggiava, tremava. Mi chiedevo: “Com’è possibile guardare un film così?”. E invece era proprio quello il punto: non dovevo guardare, dovevo vivere dentro la scena.
Von Trier non cercava lo spettacolo. Cercava la verità. E per raggiungerla, fondò nel 1995 il movimento Dogma95, insieme a Thomas Vinterberg.
Cos’è il Dogma95?
Il Dogma95 è un manifesto rivoluzionario nato per reagire contro la spettacolarizzazione eccessiva del cinema commerciale. Negli anni ’80 e ’90, il mercato era dominato da blockbuster pieni di effetti speciali, musiche invasive e attori idolatrati. Von Trier e Vinterberg volevano tornare all’essenza: la storia, l’attore, l’immediatezza. Ecco i dieci punti del Dogma95
Le 10 regole del Voto di Castità:
- Le riprese devono essere effettuate in location reali.
- Il suono deve essere registrato in presa diretta.
- La macchina da presa deve essere a mano.
- Il film deve essere a colori e con luce naturale.
- Niente filtri o modifiche ottiche.
- Niente azioni superficiali (armi, omicidi, ecc.).
- L’ambientazione deve essere qui e ora.
- I film di genere non sono ammessi.
- Deve essere girato in formato 35mm.
- Il regista non deve essere accreditato.
Chi è Lars von Trier?
Nato a Copenhagen nel 1956, Lars von Trier è uno dei registi più radicali e controversi del nostro tempo. Cresce in un ambiente libero e caotico. A 33 anni scopre che l’uomo che lo ha cresciuto non è il suo vero padre. Questo trauma, unito a una depressione cronica, influenza profondamente la sua poetica: fatta di colpa, dolore, e ricerca di verità.
Dice di sé:
“Sono depresso, ipocondriaco e pieno di colpa. Ma non posso smettere di fare film.”
Il suo cinema è carne, abisso, misticismo. Film come Europa, Dancer in the Dark, Melancholia, Antichrist scuotono lo spettatore. Ma con il Dogma95, cerca di spogliarsi di tutto per arrivare all’essenziale.
Festen: lo smascheramento della famiglia borghese
Festen (“La celebrazione”) di Thomas Vinterberg è il primo film Dogma95. Quando l’ho visto, mi ha sconvolta.
Si festeggiano i 60 anni di Helge, patriarca di una ricca famiglia danese. Tutti si riuniscono in una villa perfetta. Ma durante il brindisi, Christian, il figlio maggiore, accusa pubblicamente il padre di averlo molestato, insieme alla sorella gemella, poi suicidatasi.
La festa si trasforma in un incubo. Le verità si accavallano. Nessuno può più fingere. È un film crudo, diretto, potentissimo. Girato con camera a mano, luce naturale, e totale assenza di artifici.
Ha vinto il Premio della Giuria a Cannes 1998 e aperto le porte del mondo al cinema Dogma.
Un aneddoto: gli attori hanno spesso improvvisato. La videocamera digitale leggera ha permesso riprese fluide, intime, reali.
Le onde del destino: amore, fede, sacrificio
In Breaking the Waves (1996), Emily Watson interpreta Bess, una donna ingenua e devota. Sposa Jan, operaio norvegese. Dopo un incidente, Jan resta paralizzato. Bess, convinta di poterlo salvare spiritualmente, si sacrifica: si concede ad altri uomini, credendo che quell’amore così puro possa guarirlo.
Il film è devastante. Mette in scena il martirio, la fede cieca, l’amore che travolge. Quando lo vidi, uscii dal cinema con il cuore a pezzi.
Vincitore del Grand Prix a Cannes 1996, regalò a Emily Watson una nomination all’Oscar nel 1997. Von Trier mostrò quanto la verità potesse ferire… e curare.
Dogville: il palcoscenico della crudeltà
Nel 2003, Lars von Trier gira Dogville. Nicole Kidman è Grace, fuggitiva accolta da una piccola comunità. In cambio dell’ospitalità, accetta piccoli lavori. Ma gli abitanti iniziano a sfruttarla, abusarla, umiliarla.
Il set è vuoto: un palcoscenico teatrale, quasi brechtiano, con linee di gesso al posto delle case. Von Trier annulla ogni trucco scenico. Rimane solo la crudeltà dell’essere umano.
Il film fu nominato alla Palma d’Oro e vinse il David di Donatello per il miglior film europeo. Un capolavoro spietato, che richiama il teatro brechtiano.
Due rivoluzioni: Dalí e von Trier
Dalí inchioda la macchina. Von Trier la fa tremare. Dalí sogna la carne che si fa visione. Von Trier mostra la carne che sanguina.
Due visioni opposte, ma con un unico obiettivo: liberare il cinema dalla finzione.
L’eredità del Dogma oggi
Dogma95 si scioglie nel 2005, ma la sua eredità è viva.
Oggi il suo stile è ovunque: nei videoclip di Björk, nelle serie nordiche, nei film indipendenti. La camera a mano, le luci naturali, i dialoghi improvvisati: tutto parla ancora Dogma.
Questo articolo nasce da una citazione copiata a mano su un quaderno, da una ragazza che voleva tenere strette le parole dei maestri.
Oggi, ripensando a Dalí e von Trier, sento che entrambi – pur diversissimi – ci insegnano una cosa:
Il cinema deve toccare il vero. Anche quando fa male. Soprattutto quando fa male.
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