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Fare l’attore è qualcosa che ti attraversa, ti abita. Non è un lavoro che si spegne a fine turno. È dentro di te. E tutto questo, inevitabilmente, ha delle ricadute anche sulle relazioni.
Fare l’attore e scegliere di non stare con un altro attore
Fare l’attore, per me, ha sempre significato anche scegliere consapevolmente di non avere una relazione con un altro attore.
Non ho mai avuto storie con colleghi. Non perché lo giudichi, ma perché ho sempre sentito che per me sarebbe stato troppo.
Già basto io.
Con il mio mondo interiore, la mia sensibilità, le mie montagne russe emotive. Stare con qualcuno che vive lo stesso fuoco, le stesse fragilità, lo stesso bisogno di essere visto… l’ho sempre sentito come un carico eccessivo. Come una stanza piena di specchi, dove il rischio di perdersi diventa enorme.
È una scelta mia, una forma di protezione. Ma anche un modo per lasciare lo spazio all’altro, per cercare un equilibrio più complementare.
Fare l’attore e amare chi fa un altro mestiere
Fare l’attore e stare con una persona che fa un altro lavoro, invece, può sembrare la strada più semplice.
All’inizio c’è stupore, meraviglia, anche un po’ di magia. Ti guardano con ammirazione, pensano che il tuo mondo sia speciale, luminoso, unico.
E in effetti, lo è.
Ma poi arriva la realtà.
Gli orari non coincidono. Tu lavori quando gli altri si rilassano. Tu studi un copione quando l’altro vuole guardare una serie. Tu sei in tour mentre l’altro ha bisogno di te a casa.
E ci sono momenti in cui hai una serata libera e finalmente puoi stare con chi ami…ma arriva un self-tape urgente, da girare entro il mattino dopo. E tutto salta.
Trucco, luci, silenzio. E quell’intimità che avevi cercato si dissolve nel dovere professionale.
E poi c’è il tema delle vacanze.
Le persone “normali” pianificano con mesi di anticipo. Hanno ferie fisse, orari definiti. Fare l’attore significa vivere nell’incertezza.
Prenoti una vacanza, e poi ti chiamano: hai vinto un provino. E quella vacanza salta.
Se l’altro non capisce che per noi è una questione di sopravvivenza professionale, può diventare un motivo di forte tensione.
Fare l’attore e sentirsi sempre un po’ fuori dal mondo
Essere attore ti fa vivere su un binario parallelo. Gli amici organizzano cene e weekend. Tu spesso non puoi.
Ti dicono: “Ma vieni, che sarà mai?”.
E tu vorresti. Ma non puoi.
Hai una replica. Hai una prova. Hai un provino. Hai da preparare un personaggio. Hai bisogno di dormire perché la sera hai una performance.
Anche ammalarsi, per noi, è un lusso.
Perché se stai male e devi saltare uno spettacolo, perdi tutto: fiducia, lavoro, soldi.
Non puoi semplicemente metterti a letto. A volte vai in scena anche con la febbre, la tosse, i dolori — perché non ci sono sostituti, perché hai una scrittura da onorare, perché devi farcela.
E tutto questo non si vede. Ma esiste. E pesa.
Fare l’attore e cercare autenticità
Scegliere di stare sul palco o sul set significa anche imparare a chiedere comprensione senza pretendere. A raccontarsi senza doversi giustificare. A lasciare spazio all’altro senza dimenticarsi di sé.
Io credo profondamente che si possa amare bene anche facendo questo lavoro. Ma serve coraggio. Serve chiarezza. Serve la voglia di condividere davvero, anche le parti più faticose.
La persona che ti ama deve capire che tu non lo metti da parte.
È che per te il lavoro non è un rifugio: è parte della tua identità.
E se riesci a portare l’altro dentro il tuo mondo senza annullarti, allora può nascere qualcosa di forte, di vero.
Fare l’attore e vivere con la precarietà
Nel nostro mestiere, la stabilità è un’illusione. Ci sono periodi di lavoro intensissimo, e poi pause lunghe, silenzi, attese.
Fare l’attore significa convivere ogni giorno con la discontinuità. Il nostro lavoro non è stabile, non è garantito, non è regolare. Ci sono periodi in cui si lavora senza sosta, e altri in cui non arriva nulla per settimane, a volte mesi.
Questa precarietà economica, questa incertezza costante, non è solo una questione materiale. È una pressione psicologica, una fatica silenziosa che si infiltra ovunque — anche nelle relazioni.
Se stai con un altro attore, il rischio è che due fragilità economiche si sommino. E non è raro trovarsi a fare i conti con l’ansia del “ce la faremo a pagare l’affitto?”, “ci possiamo permettere un figlio?”, “posso dire di no a questo lavoro per stare con te?”.
Se invece stai con qualcuno che ha un lavoro fisso, che riceve lo stipendio puntuale ogni mese, allora a volte si crea una distanza difficile da colmare.
L’altro ti guarda e pensa: “Ma possibile che devi stare sempre lì a cercare scritture, a mandare curriculum, a preparare provini anche quando non hai nessun contratto?”.
Sì, è possibile. È il nostro modo di restare vivi nel mestiere.
Perché fare l’attore non è un lavoro che si cerca quando finisce: è un lavoro che si coltiva anche quando sembra non esserci.
Dall’esterno, spesso, sembra che stiamo sempre “cercando qualcosa”, sempre in tensione. E quindi arrivano — puntuali — i consigli da bar:
“Ma perché non ti trovi un lavoro normale?”
“Ma dai, potresti fare teatro nel tempo libero”
“Non ti stanchi mai di inseguire sogni?”
“Ma un piano B no, eh?”
Ecco. Questo è il punto.
Non si tratta di stanchezza o di capriccio.
Si tratta di una scelta. Faticosa, certo. Ma profonda, identitaria, irriducibile.
E questa costanza invisibile, questo “stare sul pezzo”, se non è compreso, può diventare un nodo nella coppia. e nelle relazioni Perché sembra che tu sia sempre in tensione, sempre proiettato altrove, sempre affamato. Ma quella fame è sopravvivenza. È parte di noi.
Fare l’attore e il diritto negato alla malattia
Stare male, per chi fa l’attore, è una complicazione che va ben oltre il dolore fisico. Scegliere una carriera artistica vuol dire anche sapere che non ci si può permettere di stare male. Certo, sulla carta esiste la malattia. Ma nella realtà di chi lavora nello spettacolo, la malattia non è contemplata.
Se ti ammali, non vai in scena. E se non vai in scena, non vieni pagato.
A differenza di altri mestieri, qui non esiste un paracadute: un giorno fuori può costarti una scrittura, un’occasione, settimane di guadagno.
E quindi sì, succede. Si lavora con la febbre, la tosse, la voce rotta. Ci si imbottisce di tachipirina o di medicine omeopatiche e si sale sul palco, perché è l’unico modo.
Una volta, per esempio, avevo una distorsione e andai a un casting con il tutore. Mi chiesero: “Ma perché il tutore? Dobbiamo vederti davvero”.
Mi tolsi il tutore e feci il provino. Presi il lavoro. Semplice. Chiaro. Senza drammi. Ma se non avessi fatto così, non mi avrebbero preso.
Succede.
Un’altra volta, ho dovuto programmare un intervento. L’ho incastrato alla fine di luglio, tra la fine di una stagione lavorativa e la speranza che l’autunno portasse nuovi ingaggi. Non potevo permettermi di farlo prima, né troppo tardi. Mi sono organizzata tra mille incastri, telefonate, pressioni. Non è una tragedia. Ma è la realtà. È quello che facciamo per non perdere il ritmo, per non uscire dal giro.
Lo racconto perché sia chiaro: questo lavoro non ha tutele.
Eppure, lo scegliamo ogni giorno. Con tutto quello che comporta.
Fare l’attore: invito a condividere
Fare l’attore, insomma, è un viaggio bellissimo e complicato. E non smette mai di metterti alla prova.
Ho deciso di scrivere queste riflessioni per aprire uno spazio di dialogo.
Se ti va, raccontami la tua esperienza: che tu sia attore, regista, musicista, artista o compagno/a di un artista.
Ti è mai successo di sentirti non compreso nel tuo mestiere?
Hai vissuto relazioni che si sono trasformate, oppure rafforzate, grazie (o a causa) del tuo lavoro creativo?
Scrivimi. Condividiamo.
Perché la verità, quando è messa in circolo, fa meno paura. E a volte, unisce.
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